Questo Ecuador, così, non ce l’aspettavamo. Non ci aspettavamo che ci saremmo rimasti tre mesi, di cui due in una comunità. Lo vedevamo come un pezzo di terra tra Perù e Colombia, non avevamo idea… Ricordo, quando a Mancora si parlava con Majo e Maxi, gli argentini con cui viaggiavamo. Per loro, come per molti altri viajeros, l’Ecuador è il posto dove si guadagnano i dollari che servono per proseguire a nord. Per questo motivo, i ragazzi pianificavano di restarci tre mesi. Io e Marco eravamo un po’ preoccupati, perché per noi un paese così piccolo era da fare in un mese, un mese e mezzo massimo. All’epoca ci immaginavamo in Messico a capodanno, che c’era il festival de las rebeldias nella selva lacandona.
La frontiera tra Perù ed Ecuador è stata la prima che abbiamo passato con un gatto, che abbiamo tentato per un po’ di nascondere, ma dopo un po’ è risultata una missione impossibile, vista l’attesa infinita. Come sempre, il micio ha creato una simpatica atmosfera con le altre persone che come noi stavano aspettando e, nonostante avesse tutti i documenti a posto, non è stato degnato di uno sguardo dal funzionario che ci ha messo il timbro sul passaporto. Era notte, quando abbiamo passato la frontiera. La nostra destinazione era Cuenca, una delle città più belle che abbiamo visto nel viaggio con un’architettura che ricorda quella europea. Abbiamo dormito un po’ in bus e al risveglio abbiamo potuto ammirare il tipico paesaggio della serra, composto da montagne e colline di un verde bellissimo, che non eravamo abituati a vedere in Perù. Solo il periodo passato a Cuenca, tre settimane, avrebbe smentito le nostre previsioni. Da lì, Vilcabamba, dove dovevamo fermarci una settimana e siamo rimasti due mesi. Tutta colpa di una comunità stupenda, Shambhalabamba, con persone stupende che abbiamo fatto fatica a lasciare. Nei lunghi due mesi passati nella ecoaldea, gli altri, che erano già ripartiti ci raccontavano di tutti i posti belli che hanno visitato. E che noi non vedremo a questo giro. E l’unico motivo è il festival di comunità a cui stiamo andando in Colombia, se no non so quanto tempo saremmo rimasti (irregolari, ma tanto qui va di moda) in questo paese.
Anche l’Ecuador, come la Colombia e il Perù è diviso in tre zone: la selva ad ovest, la sierra, ovvero le Ande, nel mezzo e la costa ad est. Stando a Rémi, un amico francese conosciuto a Vilcabamba che è un questo continente da un paio d’anni, da un punto di vista paesaggistico l’Ecuador è un best of di Perù e Colombia. Noi purtroppo abbiamo visto solo la sierra, ma sì possiamo certamente dire che è bella da morire. E che ci piacerebbe molto tornare in futuro a vedere il resto.
Avendo visto solo la parte centrale, che è anche la più fredda, il clima ha smentito quello che ci immaginavamo, ovvero il clima equatoriale, quello che studi a scuola ‘con temperature uniformi ed elevate tutto l’anno’. Uniformi può darsi, elevate così così. A Cuenca e anche a Quito, la sera fa freddo e di giorno se va bene la temperatura è tra i 20 e i 28 gradi, ma le cose possono cambiare repentinamente nel giro di pochi minuti, con l’arrivo di vento e pioggia ad ammazzare ogni entusiasmo. Questo è anche dovuto all’altura, visto che entrambe le città sono sopra i 2400 metri. Anche la pioggia è stata abbastanza presente, quasi quotidiana e questo prima dell’inizio della stagione delle piogge.
L’Ecuador, anche grazie a Correa, vanta di infrastrutture che non vedevamo dai tempi del Cile, le strade sono belle e fare autostop è facilissimo, la gente è ben disposta e ha voglia di chiacchierare. I bus sono comunque un’opzione accessibile, anche se un po’ più cari rispetto al Perù. I prezzi in generale sono un po’ più alti, ma si può vivere davvero con poco, trovare posti dignitosi dove si dormire per 2-3 dollari a notte e mangiare al mercato con 2 dollari. Il cibo del mercato è abbastanza buono, un po’ meno vario che in Perù, ma molto meglio che in Bolivia. L’unica cosa strana è che non importa che nel tuo piatto ci sia riso, carne, zuppa o pesce, per mangiarlo hai a disposizione un cucchiaio y nada más. Altra opzione sono le panetterie che sono buone e molto economiche. A questo, a Cuenca si aggiungeva una deliziosa pizza al taglio, gestita da Luca, un ragazzo di Genova che ci ha praticamente adottati. Ricordo con commozione la sua focaccia con le cipolle… Altro elemento fondamentale della comida callejera sono le salchipapas, ovvero patatine fritte con due würstel, condite con una maionese e un ketchup rigorosamente annacquati. E con sopra tre foglie d’insalata, se le chiedi. E lì scatta il dilemma, purificare la propria coscienza con l’insalata finta che dà una parvenza sana all’alimento, ma che però rende le patate sotto mollicce e umide e che è difficilissima da mangiare con la forchettina di plastica minuscola che ti danno? Io quasi sempre, nonostante tutto chiedevo l’insalata, per poi insultare la forchettina nei minuti successivi… Tanto denigrata quanto amata, la salchipapa, al modico prezzo di un dollaro, può diventare un rituale quotidiano per il viaggiatore squattrinato.
A Cuenca lavorare è molto facile e permette di avere abbastanza soldi per ostello, sigarette e cibo. Così ci siamo dati alle arti di strada. Marco e Tomas avevano il loro semaforo fisso dove si esibivano in minispettacoli di giocoleria. Io invece mi sono data alla produzione e vendita di trufas con Carla, quando non eravamo a cantare in ristoranti e bus con Majo. Nel frattempo iniziavo la produzione artigianale di anelli, orecchini e simili con i bottoni, che ho venduto nei giorni della festa.
Insomma, vivere in Ecuador è facile, ma ci sono delle ombre. Una di queste, è senza dubbio sono gli orari. A parte la mancanza quasi totale di affidabilità dell’ecuadoriano medio, per il quale ‘ya mismo!’ può significare da adesso, a tra mezz’ora a tra tre ore (più probabili la seconda e la terza che la prima). I negozi sono aperti quando l’ecuadoriano decide e non c’è modo di saperlo prima, per cui capita spesso di fare giri a vuoto. A questo si aggiunge che sia il sabato che la domenica la maggior parte dei negozi sono chiusi e in settimana molti chiudono alle sei (ad esclusione di Otavalo). Ma la nota peggiore riguarda i locali che chiudono tragicamente alle 2 il sabato e a mezzanotte (a mezzanotte!) gli altri giorni della settimana. E la domenica c’è la ley seca, quindi non si vendono alcolici. Di per sè questo non è un dramma, se non fosse che in una città come Cuenca il centro storico si spopola e sembra di essere in una città fantasma. Non si sa bene cosa faccia, ma la domenica il cuencano non esce di casa. Forse sta a casa a consumare gli alcolici comprati nel resto della settimana. Per fortuna in altre città questo non succede. La causa di queste limitazioni è che l’ecuadoriano medio si ubriaca molto e male e sembra che chiudere i locali o vietare la vendita di alcolici sia l’unica per evitare problemi. Sarà, ma per un non-ecuadoriano medio questo suona come una terribile condanna. Una notte abbiamo camminato per Quito, la capitale, all’una di notte . Abbiamo incontrato si e no tre persone e dieci macchine in due ore.
Non è una caratteristica solo Ecuadoriana, ma senza dubbio, anche qui le leggi sono fatte per essere infrante. Gli piace molto scrivere cartelli con divieti che nessuno rispetta. Questo ha i suoi lati positivi quando si viaggia con un gatto che in teoria non può salire sui bus e l’unica reazione è la gente che ti dice ‘miciomiciomicio!’, al massimo ti dicono di nasconderlo, ma quando sono i controllori a dirtelo, non si capisce bene a chi lo stai nascondendo… Oltre a questo, nei bus in teoria non possono salire venditori ambulanti, ma l’autista accende addirittura le luci per permettergli di fare più agevolmente il loro mestiere. I prezzi anche, sono relativi, tipo che se sei biondo o con faccia da europeo/nordamericano, paghi di più. E ti aumentano il prezzo senza vergogna alcuna. Mi è capitato di entrare in un ristorante, attratta dal grande cartello ‘almuerzo a 2 $’, giunto il momento di pagare porgo un biglietto da 5 e la signorina mi ridà 2 dollari e 50. Le faccio notare che mancano 50 centesimi e lei risponde che non si è sbagliata, il pranzo costa 2 dollari e mezzo. Io indico la grande lavagna all’ingresso e lei replica ‘il ragazzo si è sbagliato a scrivere.’ Sconfitta e basita ho abbandonato il locale.
Come molti sanno la presidenza Correa è molto critica nei confronti della politica estera USA, di banca mondiale e del FMI. Cionostante, il fatto che dal 2000 il dollaro sia la moneta ufficiale del paese, che i sensi unici siano indicati come ‘una via’, divertente traduzione di ‘one way’, in città pulite e ordinate con un buon numero di statunitensi in pensione, a volte ti fanno sentire un po’ in gringolandia. A Vilcabamba, dove abbiamo passato due mesi e che è presa d’assalto da nordamericani ed europei new age alla ricerca dell’elisir di lunga vita le proporzioni si invertono. In alcuni bar della piazzetta principale ti parlano direttamente in inglese.
I posti da vedere, molti dei quali non abbiamo visto, ma di cui abbiamo sentito parlare sono i seguenti. Nella sierra Vilcabamba, Loja, Quito, Baños de Ambato (dove c’è l’altalena sospesa nel nulla) e Otavalo con i suoi mercati artigianali. Nella costa Canoa, Mompiche, Atacames, Esmeraldas… E Montañita se vi piace far festa. Nella selva Tena, Coca e il Yasuni, pezzo controverso di amazzonia, uno dei posti a maggior biodiversità del mondo, che ha anche petrolio, che Correa ha promesso di non estrarre per poi rimangiarsi tutto.
Ora vedremo que pasará con la Colombia o Locombia come dicono qua.. Stay tuned!