Questo Ecuador, così, non ce l’aspettavamo. Non ci aspettavamo che ci saremmo rimasti tre mesi, di cui due in una comunità. Lo vedevamo come un pezzo di terra tra Perù e Colombia, non avevamo idea… Ricordo, quando a Mancora si parlava con Majo e Maxi, gli argentini con cui viaggiavamo. Per loro, come per molti altri viajeros, l’Ecuador è il posto dove si guadagnano i dollari che servono per proseguire a nord. Per questo motivo, i ragazzi pianificavano di restarci tre mesi. Io e Marco eravamo un po’ preoccupati, perché per noi un paese così piccolo era da fare in un mese, un mese e mezzo massimo. All’epoca ci immaginavamo in Messico a capodanno, che c’era il festival de las rebeldias nella selva lacandona. Continue reading
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Orlando, il guardiano della giungla
A Huanchaco, paradiso dei surfisti nella costa nord del Perù, io, Marco e Tomás abbiamo deciso che volevamo vedere la selva, prima di andare in Ecuador. Un volontariato sarebbe stato l’ideale. Guardando la mappa, abbiamo visto che la città più vicina, ai margini della giungla, era Tarapoto. La combinazione “volontariato Tarapoto” su Google ci ha mostrato un risultato interessante: un centro di reinserzione di fauna silvestre, due ore a piedi dal primo centro abitato. Il progetto Cerelias. Vediamo foto di scimmiette, bradipi e altri animaletti strani e cinque minuti dopo sto scrivendo una mail.
Il giorno seguente arriva la risposta, positiva, e in meno di una settimana siamo per strada. Tarapoto ci accoglie con un forte caldo umido, che apprezziamo molto e con orde di mototaxi. Praticamente le macchine non esistono, il che è molto pittoresco e altrettanto rumoroso.
Incontriamo Enith, che si occupa di contattare e seguire i volontari. Ci mettiamo d’accordo per partire la mattina dopo, con i viveri per noi e per gli animali. Alle nove del giorno dopo siamo alle porte della Cordillera Escalera, dove presentiamo l’autorizzazione che ci ha dato Enith, ma non sembra sufficiente. I due uomini all’ingresso dicono che ci vuole la risoluzione e che solo con l’autorizzazione non possiamo entrare. Tentiamo di fargli capire che non sappiamo nulla e che ci stanno aspettando su, fino a quando non emerge che la soluzione è pagare 10 soles a testa. Così facciamo e iniziamo il cammino, dietro a due uomini che caricano i viveri. Dopo pochi minuti ci rendiamo conto che è stata un’ottima idea aver lasciato gli zaini grandi in città, ci
ritroviamo ad attraversare lo stesso fiume molte volte, saltando di pietra in pietra o con i piedi nell’acqua in alcuni casi.
Quello che non è fiume è un sentiero che sale e scende con pietre, radici, foglie umide e fango. Inutile dire che al secondo attraversamento di fiume cado rovinosamente nell’acqua e le due ore successive le passo con il terrore di scivolare, cadere, in pieno conflitto con la Pachamama. Marco nel frattempo è euforico perchè si ricorda delle estati passate in montagna e Tomás passa il tempo alla ricerca di rane e insetti da fotografare. Il mio dramma esistenziale passa quasi sotto silenzio, fino a quando non vengo seminata all’ennesimo attraversamento di fiume, che passo con i miei tempi, non so dove andare, penso che morirò, indignata per l’abbandono. Poi torna Marco, lo insulto e ritroviamo la strada. Ci vorrà qualche giorno perchè capisca che ho seriamente bisogno di un po’di assistenza nel saliscendi. Il cammino continua tortuoso, manco a dirlo, inizia a piovere, i due caricatori ci dicono di aumentare il passo perchè con la pioggia il fiume rischia di non essere più attraversabile. Arrancando, fradici, arriviamo al centro.
Ci accoglie Cusho, la scimmia sentinella, cleptomane, scopriremo qualche giorno dopo. Intorno a noi sette scimmie sono legate con lunghi cavi agli alberi intorno ad un recinto dove si trova la capanna dove vive Orlando, cuore pulsante del progetto Cerelias.
Tutte sono nate in cattività e si stanno abituando a vivere nel loro habitat naturale. Quando saranno pronte, saranno liberate, come gli
800 animali che Orlando ha reintrodotto negli ultimi anni in questa riserva naturale. Popolano il centro altre due scimmie in libertà, Yura Nono, cucciolo di scimmia bianca e Martina, maqui sapa, che vive qui da poco più di un mese. Ci sediamo per mangiare e conosciamo Nico.
La Nicoloca, come la chiama Orlando. È un animale di cui ignoravamo l’esistenza, si chiama quatí, un misto tra un procione e un formichiere, marrone, con un lungo naso sempre impegnato ad annusare l’aria alla ricerca di insetti, vermi e altre delizie. I lunghi canini e le unghie affilate fanno sì che questo animale susciti un certo timore, soprattutto quando decide di salirti in braccio e di annusare ogni tuo orifizio o quando sente il suo territorio minacciato. Ovvero sempre, visto che il suo territorio coincide con il nostro spazio di lavoro. Per cui camminare dove lei fa buchi, toccare la legna (indispensabile per il fuoco che alimenta la cucina) e scavare sono azioni pericolose che in più occasioni ci hanno fatto conoscere da vicino le parti affilate del suo corpo. L’attacco viene solitamente preceduto da un suono acuto tipo ‘hiiii’, ma spesso la sua velocità non permette reazioni di sorta.
Altri animali che popolano la riserva sono le tartarughe di terra e sette piccole scimmiette dalla coda lunga che vivono libere, ma tornano per dormire e mangiare. Noi li conosciamo come ‘pereques’ e ci abituiamo all’urlo rauco di Orlando che li chiama quando è ora di mangiare. Altri frequentatori occasionali sono un branco di cinghiali, con tanto di cinghialetto cucciolo. ‘Sapete quanto ci vuole normalmente per vedere dei cinghiali qui?’ -ci dirà Orlando- ‘Cinque giorni di camminata e molta fortuna. Ma questo branco mi conosce e si fida.’. È un lungo lavoro costruire la fiducia con gli animali, in particolare con quelli selvatici che ci sono qui. I cinghiali sono stati introdotti da lui, ma la differenza rispetto ad altri centri è che qui sono liberi e non in gabbia, così possono imparare a nutrirsi della frutta presente nella zona e ad integrarsi davvero nel loro habitat. Questo ha ricadute positive sull’ecosistema, sulla loro salute e anche sulla sostenibilità del progetto. Il cibo che dà loro Orlando integra la loro dieta, ma a volte passano giorni senza che si presentino, il che segna il successo del progetto e incide positivamente sulle spese.
Nei giorni successivi scopriremo l’origine del progetto: la zona dove ci troviamo era un paradiso naturale, popolato da ogni genere di animale e pianta. Ma l’uomo e la sua avidità l’hanno ridotto ad un oceano verde, dove si incontrano piante, insetti, anfibi e poco più. È iniziato tutto con la caccia, che ha decimato le scimmie presenti nell’area, il resto lo ha fatto la piantagione di coca e il laboratorio per elaborare cocaina che sono durati fino a quando non è intervenuta la DEA, che se da un lato ha liberato la zona dalla coltivazione, dall’altro l’ha riempita di diserbante. Per questo, gli alberi qui hanno una media di trent’anni di vita. Orlando dedica tutte le sue energie, ogni giorno, a
restituire questo luogo alla natura, aiutando a ricostruire gli equilibri presenti in passato.
È impossibile non essere ammirati dalla forza di volontà e dalla dedizione di quest’uomo che vive in una tenda dentro l’unica stanza chiusa, condivisa con i viveri e la gabbia di Nico. Sessant’anni un’energia invidiabile e alle spalle una vita incredibile, in cui ha fatto pesca d’altura, ha vissuto con degli indigeni nella selva, ha conosciuto da vicino i Senderos, gruppo marxista del Perù. Il filo conduttore di queste esperienze, tanto diverse è il fatto che Orlando ha sempre cercato di migliorare le realtà che incontrava. Un innovatore ed una persona estremamente generosa, che ci ha insegnato ad essere creatori attivi del mondo che vogliamo. Tutte le sue azioni sono volte al benessere degli animali e a mantenere la zona incontaminata.
La sua giornata inizia all’alba per dare da mangiare agli animali, che vengono nutriti cinque volte al giorno e finisce verso l’una, quando va
a perlustrare la zona, per accertarsi che il puma che vive nell’area non minacci i suoi animali. Più volte è stato morso da scimmie e cinghiali, questo fa parte del mestiere quando si lavora con fauna silvestre, ma non può rallentare il ritmo di lavoro, perché il suo ruolo è impossibile da sostituire. Ci vorrebbe qualcuno che lo affianchi, concordiamo, ma il centro al momento manca di infrastrutture, come la protezione dell’area dove si cucina, bersaglio di continue marachelle delle scimmie in libertà, per non parlare dell’assenza di acqua corrente e gas. Anche se in teoria i fondi stanziati dovrebbero permettere condizioni di vita e di lavoro meno estreme, questa è la realtà attuale e un grande apporto al progetto arriva dai volontari, che contribuiscono, oltre che con forza lavoro, comprando il cibo che viene condiviso con gli animali.
Le due settimane che passiamo a Tarapoto sono una grande prova di vita, in questo volontariato, che per usare le parole di Marco “ha ridefinito il nostro concetto di spartano”. A parte l’assenza di elettricità e acqua corrente, almeno un centinaio d’insetti hanno potuto assaggiare il mio sangue originando strane reazioni nelle mie gambe che si sono gonfiate e sembravano quelle di una vecchia lebbrosa. Questa esperienza mi ha insegnato che nella giungla pantaloni lunghi e maniche lunghe sono d’obbligo se si vuole sopravvivere incolumi. Oltre a questo Carolina, scimmia psycho, complice la mia sottovalutazione del pericolo, ha assaggiato il mio pollice, che ora sfoggia una simpatica cicatrice. È molto bello, ora poter dire con noncuranza: ‘no, non è niente, è che nella giungla del Perù mi ha morso una scimmia..’. Però sul momento non è stato facilissimo. Nonostante questo, il rapporto con gli animali e con una scimmietta in particolare, Giacinto, mi hijito, oltre al fatto di essere testimone di un progetto così bello hanno ampiamente compensato la fatica iniziale.
Vi lasciamo con qualche foto del posto e dei suoi animali, oltre che con le coordinate del progetto, nel caso in cui, passando per il nord del Perù, non abbiate voglia di spendere un po’ di tempo in un posto incredibile.