arrivati

Da Cusco a Machu Picchu

Dove saranno finiti quei due? Che staranno facendo? E il blog? E le ricette? Queste sono domande legittime di chi ha iniziato a seguirci e a leggerci… Il progetto continua, volevo rassicurarvi: in questo momento stiamo vivendo in un ecovillaggio a Sud dell’Ecuador, nei pressi di Vilcabamba, paesino famoso per la longevità dei suoi abitanti e per questo colonizzato da frotte gringos alla ricerca di un elisir di lunga vita. E quando riusciremo ad uscire da questo “alegre nuevo mundo” come lo chiamano loro, andremo a Loja a fare due chiacchiere con alcune persone parte del movimento di economia solidaria dell’Ecuador. Il rallentamento drastico nella pubblicazione di post è dovuto al fatto che stiamo vivendo sempre più intensamente questo viaggio e, tra artigianato, semafori, preparazione di festival e chi più ne ha più ne metta è difficile trovare la concentrazione per scrivere, tanto più quando gli spazi sono condivisi. Infatti questo post nasce in una sala d’aspetto, luogo perfetto per svuotare la mente e ricominciare a far fluire i ricordi.
Finito il pippone autogiustificatorio. Iniziamo con la storia.

Ovviamente il fatto di avervi lasciati sul Titikaka, due mesi fa mi dà l’imbarazzo della scelta su cosa raccontarvi… Che fare? Andare in ordine cronologico e parlare del nostro cammino nel Valle Sagrado fino a Machu Picchu? O saltarlo e raccontarvi di quando facevamo il pane a Pisac? O direttamente di quando eravamo nella selva in mezzo a scimmie e altri strani animali? O di Cuenca? O di Yara, incontrata a Mancora, che si è curata la leucemia con succhi di frutta in cima ad una montagna e ora gira il mondo vendendo artigianato?
Meglio rispettare l’ordine cronologico e tornare a Sud del Perù… E proprio mentre facevo mente locale e cercavo di ricordare le piazze di Cusco, le rovine Incas, le montagne terrazzate, i mercati, le rotaie e il caldo umido della selva che circonda le rovine più famose del mondo si è seduta vicino a me Arianna, vilcabambina di 7 anni, incuriosita dal mio tablet. Senza troppe cerimonie me l’ha preso e ha iniziato a giocarci, facendomi un po’ di domande sul suo prezzo. Mi faceva pensare ad Ecuador, il nostro nuovo compagno di viaggio a quattro zampe, quando ti cammina sulla tastiera. Per fortuna l’assenza di giochi l’ha neutralizzata e posso tornare con voi a Cusco.
Piovigginava ed era mattina quando siamo arrivati alla capitale dell’impero Inca, con un bus da Arequipa, dove avevamo ritrovato Majo e Maxi. La bella e turistica Cusco, di cui già avevo sentito parlare anni addietro e non so come mai la immaginavo attaccata a Machu Picchu. E invece no, abbiamo scoperto all’ufficio informazioni turistiche, dove ci hanno parlato delle varie opzioni per visitare il sito archeologico. C’era il cammino Inka, di cui si parlava da mesi, ma che è necessario prenotare con largo anticipo e non è regalato, oppure il treno, Cusco-Aguas Calientes, altra opzione adatta a turisti con dinero e non a viajeros avventurosi e squattrinati come noi. La terza opzione, ovvero una serie di bus, decisamente più economica e interessante è stata quella che abbiamo scelto all’unanimità.
Per approfittare della vista e delle rovine sparse nella zona abbiamo deciso di prenderci qualche giorno per esplorare il Valle Sagrado. Iniziando da Pisac, dove abbiamo passato una notte suggestiva, di camminate sotto la luna tra montagne che sembravano profili di giganti che ti guardano e ti proteggono. Pisac, come altri paesini dove siamo stati, è costeggiata dal rio Urubamba, che taglia la valle fino a hidroelectrica, la porta del Machu Picchu. Il paesino è in gran parte pedonale con canali di scolo in mezzo alle stradine intervallati da simboli Incas (serpenti, giaguari, e pannocchie..) e si snoda intorno ad una piazza animata da un mercato artigianale dove si può essere assaliti dall’improvvisa voglia di comprare tutto… c mercato
A Pisac, non lo sapevamo ancora, ma ci avremmo passato un po’ di tempo, nella panetteria di José, per cui passiamo oltre.
Il giorno seguente, dopo un tentativo di accampamento in riva al fiume in una zona abbastanza brutta, abbiamo deciso di prendere un economico bus per spostarci ad Urubamba, in un ostello con terrazza, dove abbiamo appreso della morte di Robin Williams e passato la sera a guardare Mork e Mindy (spassoso Mork e Mindy!).mercato ururu
Di Urubamba ricorderò il terminal, il coloratissimo mercato e le montagne di fronte con grandi numeri disegnati di cui non siamo riusciti a capire la ragione.
Dopo Urubamba il nostro cammino si è fatto decisamente più selvaggio ed interessante. Ci siamo spostati nella parte alta della valle a visitare las Salineras, salinasoltre 2000 piccoli pozzi di sale, intagliati in una montagna dai tempi degli Incas e da cui si estrae tutt’ora un sale pregiatissimo, tipo quello dell’Himalaya. Da lì, a piedi, abbiamo sfidato il sole cocente per un cammino in mezzo alle montagne tra paesaggi mozzafiato, che ci avrebbe portati a Maras, vicino alle rovine di Moray, cerchi concentrici terrazzati che si dice fossero esperimenti agricoli, perchè pare che ad ogni livello ci fosse un diverso microclima. Siamo arrivati a Maras verso le quattro e dopo un pasto (ormai gran classico) a base di pane, formaggio, pomodori e avocado seduti nella piazza del villaggio, dopodichè siamo andati alla ricerca di un posto dove passare la notte (probabilmente l’unico ostello). La mattina dopo altre due ore di cammino e di viste stupende ci separavano da Moray.
Trovare il sito non è stato immediato, ma ne è valsa largamente la pena. Un po’ dell’energia di un popolo che rimane presente, nelle sue montagne, nei tratti somatici degli abitanti e nella loro visione della vita, si riesce a sentire a Moray, quando ci si trova nel bel mezzo di una costruzione di cui non si ssticazzonimoraya molto ma che si sente che fu un luogo importante e carico di vibrazioni. E molto meno assaltato da turisti rispetto al Machu Picchu, il che senza dubbio aiuta.
L’ultima tappa è stata Ollantaitambo, altro villaggio incantevole, ai piedi di altre rovine. Ad Ollantaitambo abbiamo trovato una pizzeria gestita da un italiano, il forno, e abbiamo avuto un momento di grande piacere gustativo, mentre il povero Marco stava male in ostello, per poi riprendersi, giusto in tempo, il giorno dopo. Pizza a parte, Ollaintatitambo merita una visita e non so se era la nostra emozione per essere un po’ più vicini ad una meta tanto attesa e sognata, però ci è piaciuta moltissimo. Il giorno dopo abbiamo trovato un taxi che ci ha caricato tutti e cinque per un buon prezzo ci ha portati, in almeno tre ore, fino ad hidroelectrica.  Il paesaggio e il clima cambiano completamente e si passa da un freschino montano al caldo-umido e alla vegetazione della foresta amazzonica, anche la strada cambia con il paesaggio partendo da essere asfalta e poco ripida fino a diventare sterrata, ripida e stretta man mano che ci si avvicina alla foresta .Verso le quattro e mezza scendevamo ad hidroelectrica, alle porte del Machu Picchu. Ma per raggiungere Aguas Calientes, il paesino ai piedi delle rovine avremmo dovuto camminare per due ore e mezza, seguendo le rotaie del treno, per almeno un’ora nel buio rischiarati dalla luce di due torce (grazie Gloria!) circondati dalle lucciole e dai rumori della foresta.
Il mattino dopo alle cinque e mezza iniziava la nostra salita a Machu Picchu. Centinaia di gradini Inca,  che sono contraddistinti da un forte livello di bastardaggine, alti e irregolari il tutto tra la nebbia mattutina della foresta ch rende l’aria densa e pesante . . la  camminata avuto l’effetto di riportarmi a riconsiderare il mio stile di vita (basta! Non fumo più, mangio meglio e faccio sport!) per alcune ore. Dopo i gradini, verso le sette, ansimanti, siamo giunti alle rovine, che però anche loro come la scalinata erano avvolti dalla nebbia .
machunebbiaCi siamo messi ad esplorare alcune terrazze e ci siamo seduti di fronte a quello che si scorgeva della città sacra, ancora non invasa dalle frotte di turisti che quotidianamente visitano il sito. Poco a poco la nebbia si è alzata e il sole ha illuminato il Waina Picchu e le rovine. E quasi mi è venuto da ringraziarla quella nebbia che ci ha dato il tempo per renderci conto di dove eravamo.
lavitaèfattaascaleQuando ci siamo ripresi dall’emozione ci siamo accodati ad alcuni dei diversi gruppi con guide che in un sacco di lingue diverse raccontavano del cammino Inka, dei diversi templi, del fatto che lì ci vivevano i sacerdoti, degli studi sulle stelle e sul sole. Dopo qualche ora, stanchi e soddisfatti, abbiamo preso i gradini del ritorno che ci avrebbero riportati ad Aguas Calientes e al suo campeggio municipale, dove abbiamo passato i due giorni successivi prima di deciderci a tornare a Cusco. Per tornare abbiamo scelto di seguire il cammino del treno, tra il km 110, dove si trova Aguas Calientes e il km 82, dove con un paio di bus si ritorna a Cusco.
28 chilometri percorsi in due giorni, intramezzati da una notte in tenda tra le rotaie e il fiume e sotto un cielo stellatissimo, con fuoco e racconti di famiglia e di paura. Quindici chilometri dopo, il giorno dopo arrivavamo ad un paese semi deserto, dove ci siamo nutriti, manco a dirlo, con pane, avocado e formaggio, nell’attesa di un bus che ci avrebbe portato ad Ollantaitambo e poi a Cusco.
Finita la storia di alcuni dei giorni più belli e intensi di questo viaggio. Chiamano il mio numero. Me parece perfecto. A presto, promesso, con Pisac e la storia di José.

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