Quello dell’acqua è un tema delicato in America Latina, tra fracking, miniere a cielo aperto e imprese che spesso deviano i corsi d’acqua lasciando villaggi e città intere senza una risorsa fondamentale per vivere e coltivare.
Per questo motivo molti conflitti nascono tra popolazioni e poteri economici e succede, a volte, che i cittadini vincano in questa battaglia ad armi impari. Questo è successo a Cochabamba, in Bolivia, in quella che è conosciuta come la guerra dell’acqua, iniziata nel 2000 e terminata con la cacciata dell’impresa a cui era stata appaltata la gestione dell’acqua.
Siamo giunti Cochabamba curiosi di sapere che cosa resta di questo conflitto, 14 anni dopo dal suo inizio.
La guerra del agua si svolge nel periodo pre-Morales, in cui la Bolivia è governata da Hugo Bazner, dittatore filo-occidentale e amicone della Banca Mondiale, che suggerisce la stipulazione di un contratto per privatizzare l’acqua di Cochabamba, aggiudicato da un consorzio impresariale chiamato Agua de Tunari, formato dalla multinazionale Bechtel, dall’impresa statunitense Edison, da un’impresa spagnola e da due imprese boliviane. Il governo stipulò la legge 2029 che concedeva ad Agua de Tunari il monopolio di tutte le risorse idriche, inclusa l’acqua usata per irrigare i campi e altre risorse idriche che precedentemente non erano controllate dal consorzio municipale, giungendo fino al paradosso per cui la popolazione avrebbe dovuto richiedere un’autorizzazione per raccogliere l’acqua piovana. La legittimità della legge fu messa in discussione da un’insieme di organizzazioni riunite nella Coordinadora para la defensa del agua y de la vida che sarà protagonista del conflitto.
In seguito alla stipulazione della legge, il prezzo dell’acqua, bene già scarso nella città, aumentò più del 50%, a causa dei costi di rinnovo della rete idrica. Le tariffe minime mensili erano di 20 dollari, in un paese in cui i salari potevano aggirarsi intorno ai 100 dollari al mese. Questo era dovuto da un lato all’ignoranza dei funzionari di Agua de Tunari, stranieri che non avevano idea delle condizioni di vita in Bolivia, oltre ad una visione per cui l’acqua è una merce come un’altra, per cui la conseguenza di un mancato pagamento era semplicemente la sospensione del servizio. A questo si aggiungeva un razionamento dell’acqua.
Un aumento del costo e un peggioramento del servizio che affettava tutta la popolazione, che scese in piazza a protestare, nonostante la forte repressione, che causò il ferimento di molti manifestanti e che costò la vita ad un giovane di 17 anni, Victor Hugo Daza. La morte del ragazzo scatenò l’ira popolare, che prese la piazza centrale della città e le vie adiacenti. La polizia dichiarò che non poteva garantire la sicurezza del consorzio, che lasciò il paese.
Una storia alla Davide e Golia, che dà senso allo slogan el pueblo unido jamas sera vencido…
È proprio il fatto che la situazione affettasse tutta la popolazione uno dei fattori di successo, ma la vittoria è stata principalmente politica, il problema dell’acqua a Cochabamba non è ancora stato risolto, ci dice Johnny, autore di un libro sui movimenti sociali in Bolivia.
Lo conosciamo nella piazza centrale della città, in mezzo a grandi gazebo in cui sono appesi giornali, parte di un progetto di educazione popolare. Intorno ai gazebo molti uomini che leggono e discutono. Il principale animatore di questa iniziativa è Ramiro, che si occupa anche dell’università popolare, sempre nella piazza, con lezioni mattina e sera su argomenti di storia, politica e attualità. Ci dice che la piazza prima della guerra dell’acqua era una zona dove i poveri non entravano e che il fatto che ci sia gente che parla, si incontra, discute è una delle conquiste trasversali del conflitto.
Partecipiamo ad una lezione sulla storia della Bolivia, prima di spostarci nella sede dell’associazione, che si chiama Red Tinku e che è stata, a suo tempo, una delle protagoniste del conflitto. “TINKU” in lingua Quechua e Aymara è un concetto importante che significa incontro integrale di popoli e culture, per questo l’associazione lavora con i giovani e la società civile in temi sociali, ambientali, di giustizia sociale e di interculturalità.
Abbiamo passato qualche giorno nel loro centro culturale che si trova in una zona un po’ decentrata e somiglia molto ad un centro sociale. Ramiro ci spiega che però loro pagano l’affitto, perché in Bolivia non esiste un movimento di case occupate e anche di centri culturali come quello dove ci troviamo non se ne vedono molti. Il centro si finanzia con feste, con quello che pagano (pochissimo) le persone che, come noi, si fermano a dormire, e con i fondi che ricevono per progetti di volontariato con le comunità locali. Le attività dell’associazione sono una delle eredità del conflitto, che stando alle parole di Ramiro, si è concluso con lo scioglimento della coordinadora, con uno scandalo di corruzione del leader e la cooptazione politica di altri personaggi di spicco. Non possiamo nascondere la nostra delusione nel sentire di questo epilogo. Come sempre la complessità e le ombre emergono quando ci si avvicina e si conosce di più. La piazza di Cochabamba, la Red Tinku però ci danno speranza e dimostrano come quando le persone si incontrano, riflettono, discutono e prendono coscienza qualcosa di buono ne esce sempre…
La nostra esperienza cochabambina si conclude in modo suggestivo, con un rito alla Pachamama, in cui chiediamo protezione per il seguito del nostro viaggio, intorno ad un fuoco, masticando foglie di coca e bevendo chicha de choclo, dopo averla offerta alla Pachamama, versandone un poco, per quattro volte intorno al fuco in senso circolare, insieme ad una mesa che contiene elementi della terra e della natura.
Sotto, un documentario che racconta della guerra dell’acqua, buona visione!