Eccoci di ritorno dopo questo momento di pausa-giungla, seguito da pausa post-giungla a Mancora, tra sole, amici e amore. Facciamo qualche passo indietro nel nostro viaggio per condividere con voi i nostri giorni al lago Titicaca e il nostro ingresso in Perù.
Abbiamo abbandonato La Paz e il Carretero con una certa malinconia, ancora inconsapevoli che molte delle persone incontrate in quei giorni le avremmo ritrovate lungo la strada, popolata da una grande comunità itinerante che passa il tempo a perdersi e re-incontrarsi per caso in piazze, parchi, spiagge e ostelli sgangherati. La malinconia era accompagnata dalla curiosità e da quel brivido da partenza, che se presenta ogni volta che riprendi il cammino. E la destinazione era carica di sogno e aspettative. Il lago Titicaca, il più alto del mondo con i suoi 4000 metri. E quando ci stavamo avvicinando a Copacabana, la destinazione, già si aprivano all’orizzonte i profili delle colline terrazzate alla maniera incaica, lambite da un’acqua celeste e sovrastate da nuvole bellissime, così vicine. Siamo scesi dal van e siamo saliti su una barchetta a Tiquina e già i pensieri del vissuto fino a quel momento si allontanavano e si profilava una nuova avventura.
Arrivati a Copacabana abbiamo seguito le indicazioni di Juan, che ci aveva parlato di un altro ostello stile Carretero; la Mariela, che costava la bellezza di 15 bolivianos per notte: un euro e mezzo. Quando siamo entrati abbiamo capito che l’atmosfera non sarebbe cambiata, seduti per terra c’erano una ragazza che annodava braccialetti, vicino ad un ragazzo che suonava un charango. Abbiamo lasciato le nostre cose e siamo andati a vedere il lago, vicino al quale c’erano dei bar con terrazza, da dove si poteva apprezzare il tramonto sorseggiando birra gelata. Ci siamo uniti a questo bivacco e siamo tornati all’ostello.