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Il nostro incontro con Pillan Mahuiza

Dopo Puerto Madryn, il nostro viaggio è continuato verso Ovest, con una tappa a Esquel, piccola città ai piedi della cordigliera, tappezzata di scritte NO A LA MINA, che si trovano ad ogni angolo di strada, oltre che sul monte che sovrasta la città. NO A LA MINA è un movimento che ha coinvolto la cittadinanza, gruppi ambientalist e Mapuche in opposizione alla costruzione di una mega minerà a cielo aperto, di proprietà di un’impresa canadese, che avrebbe contaminato il territorio e le acque della zona.

Nel 2003 questa battaglia è stata vinta: nonostante vari tentativi di corruzione e la presentazione del progetto come portatore di posti di lavoro e sviluppo per la regione, la popolazione si è espressa in un referendum dicendo no alla costruzione della miniera. Ma visto che l’oro resta lì, la minaccia è sempre in agguato, per questo il movimento esiste ancora. Inutile dire che questa storia ci ha ricordato molto quella della Val di Susa, referendum a parte.

Dopo una notte a casa di un simpaticissimo couchsurfer colombiano, abbiamo preso un pullman per andare in questa comunità Mapuche, di cui sapevamo molto poco. Sapevamo che era in un posto abbastanza isolato e che saremmo stati accolti da un tale Mauro, un Mapuche che era stato attivo in una radio comunitaria. Non sapevamo che aspettarci e certo non immaginavamo che ci saremmo trovati di fronte con uno dei protagonisti della lotta Mapuche in Argentina.

Scendiamo dal pullam tre ore dopo, diciamo il posto all’autista, che ci lascia in una curva, in mezzo al nulla, a qualche chilometro da Corcovado. La fermata si chiamava puente qualcosa, ma non c’è nessun ponte e nessun Mauro ad aspettarci. Strada sterrata, costeggiata da bosco, in effetti un fiume un po’ più sotto. Camminiamo alla ricerca del ponte e poco dopo appare una macchina polverosa, da cui scende un uomo sulla quarantina, occhi neri, in jeans e maglia del movimento zapatista. Mauro, che si scusa per il ritardo. Sollevati, carichiamo la macchina e ci dirigiamo verso il territorio recuperato di Pillan Mahuiza, che sorge nel mezzo di una valle, con macchie verdi, di pini e gialle e rosse di colori autunnali e delle cime innevate in lontananza, al confine col Cile. La macchina si ferma di fronte ad una casa, Mauro ci spiega che in passato era una stazione di polizia, ma che è stata recuperata dalla sua famiglia 14 anni fa. Ora ci vive lui, insieme a Colipi, un giovane di origine cilena, che incontra un po’ di più le nostre fantasie: è vestito con abiti tradizionali e ha una lunga treccia nera.

Mangiando, Mauro ci accenna che nel pomeriggio lo possiamo accompagnare ad un’assemblea a Corcovado, dove il governo ha invitato tutte le comunità Mapuche presenti nella regione del Chubut. Ci dice che si parlerà delle politiche estrattiviste del governo e del fracking. Mauro ci spiega che l’educazione politica dei Mapuche è spesso molto scarsa e che cercherà di fare un intervento che smascheri le politiche statali. Nel frattempo ci raggiungono altre persone, tra cui due antropologhe, per assistere all’assemblea.

L’incontro durerà due giorni. Il primo di discussione tra le diverse comunità, il secondo per esporre le conclusioni con il governatore. Due giorni in cui emerge chiaramente, anche ai nostri occhi totalmente vergini, che il governo non ha invitato i Mapuche per discutere con loro, ma piuttosto per manipolarli, per poter dire di averli coinvolti. La prima assemblea è condotta da una funzionaria statale, Mapuche. Davanti una decina di lonkos, capi comunità, di fronte la platea. Mauro ci farà notare che i lonkos chiamati a parlare non sono quelli con cui normalmente si rapporta nei parlamenti Mapuche, autoconvocati e indipendenti. Non è chiaro l’obiettivo dell’assemblea, si parla di rilevazioni, ovvero della possibilità dei territori di essere mappati da un punto di vista geografico e storico. Alcune comunità lamentano mancanza di acqua, infrastrutture, lavoro, alcuni chiedono politiche pubbliche a favore dei loro territori, altri evidenziano la mancanza di unione nel popolo Mapuche, altri lamentano una mancanza di unione tra le diverse comunità.

Mauro fa un intervento in cui parla chiaramente dell’intento del governo di convincere le comunità ad accettare lo sfruttamento minerario. L’unico intervento che riceverà degli applausi. La sera a Pillan Mahuiza si discute con toni molto critici dell’assemblea, della manipolazione da parte della funzionaria del governo. Viene deciso di fare un comunicato, da far firmare ai presenti e da leggere il giorno dopo di fronte al governatore per affermare la propria autonomia e la volontà di interagire con il governo tramite le proprie istituzioni e processi decisionali e per ribadire la propria opposizione allo sfruttamento minerario e all’uso del fracking.

Il giorno dopo il documento viene redatto e fatto passare tra le comunità. ma il livello di farsa dell’incontro aumenta. Siamo in un una palestra, il tutto inizia con l’inno nazionale argentino, seguono interventi che acclamano le politiche governative e poi il governatore fa il proprio discorso. Alla fine del discorso, Colipi, che non è stato ovviamente inserito nella scaletta, tenta di avvicinarsi e leggere il comunicato, ma il governatore abbandona la stanza senza neanche girarsi.

Ritorno a casa, altre discussioni, chiacchiere con altri componenti della famiglia Millan, tra cui Mariella e Moira, di cui vi parleremo presto.

Qui trovate un po’ di foto!

flag mapuche

Chi sono questi Mapuche?

Inkaupuiñ tañí mapu meu;
  tañí admapu fey pi kom kiñe meu muten deumaley pu  mawida, pu leufu, pu wanglen, pu che, pu kura ka pu genemapun. Kom mapu  ley newen meu.
Kom mapu niey moñen.
La madre terra deve essere difesa dai suoi figli, noi Mapuche siamo i figli della terra, questo l'hanno compreso i nostri antenati perchè tutto è fatto della stessa materia: 
le montagne, i fiumi, le stelle, 
le persone, le pietre e il grande spirito.

Questa è un’introduzione che abbiamo pensato per voi, prima di raccontarvi del nostro incontro con alcuni componenti del popolo mapuche in Argentina e in Cile, per darvi qualche punto di riferimento, che a noi mancava quando abbiamo iniziato questo viaggio dentro il viaggio.

Mapuche significa letteralmente figli della terra, ed è il nome del popolo originario che occupa il centro-sud dell’Argentina e del Cile e che ancora oggi lotta per difenderla. I mapuche hanno una lingua il mapudungun (in realtà più di una ci spiegherà Ruben Curricoy), una filosofia e una spiritualità proprie.   

La terra è intesa come nazione Mapuche, la Wallmapu, che si estende in Argentina e Cile approssimativamente da Santiago-Buenos Aires a Nord, fino alla provincia del Chubut in Argentina e all’arcipelago Chiloé in Cile,  a Sud. Ma non solo. Per la millenaria filosofia Mapuche l’uomo non è nient’altro che uno degli elementi del cosmo, che deve rispettare e di cui non deve alterare l’equilibrio. Per questo motivo, i Mapuche lottano oggi per difendere la natura dalla contaminazione inferta dall’uomo con l’estrazione selvaggia, molto frequente in questa parte del pianeta.

I Mapuche sono l’unico popolo originario a non essere stato conquistato e sottomesso dagli spagnoli 500 anni fa. Sono rimasti indipendenti fino alla fine del diciannovesimo secolo. Questo è dipeso dall’abilità e dalla determinazione di questo popolo, oltre che dall’assenza di un’organizzazione politica statale-verticistica, come nel caso degli Inca o degli Aztechi. Ai conquistatori non bastava sottomettere un sovrano o un’oligarchia, ma avevano a che fare con innumerevoli comunità autonome, Lofches, pronte a difendere la terra a costo della propria vita, che hanno dato filo da torcere agli spagnoli per 300 anni. Continue reading

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Radio dell’altro mondo

Uno dei piacevoli imprevisti di questo viaggio sono state le radio. Ne abbiamo incontrate a Buenos Aires, a Esquél a El Maiten e a Neuquén. A Bariloche invece un programma che va in onda sul web, ogni sera.

La maggior parte di loro non sono semplicemente radio, a dirla tutta. Sono radio comunitarie. Sono tutte piccole, accoglienti e molto aperte, tant’è che ci è capitato più volte di ritrovarci a partecipare e a raccontarci ‘on air’. E le radio che abbiamo conosciuto non sono che una piccola parte di quelle che esistono sul territorio argentino: sembrerebbe che questo sia un mezzo popolare di lotta e di partecipazione, che ci fa pensare alle radio libere negli anni ’70, ma che ad oggi in Italia non è altrettanto diffuso. Continue reading