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Grazie!
(english below)
Questo post è per coloro che sono vicini in tanti modi, contribuendo con la campagna di crowdfunding, con consigli, condividendo i nostri post, scrivendoci, leggendoci e facendoci sentire il loro affetto.
Sono sei mesi che stiamo viaggiando, abbiamo attraversato 5 paesi, dormito in 55 posti diversi, conosciuto un’infinità di persone e di esperienze interessanti.
Perchè questo viaggio si sta rivelando un susseguirsi di scoperte e di occasioni di crescita.
Quindi grazie:
Trufas de Juan al Carretero
‘Hola! Que tal? Puede colaborar nos con una trufa?‘, non so quante volte abbiamo ripetuto questa frase durante i giorni a La Paz in cui sono stata l’administraidora di Juan, il mio socio in affari, che mi ha insegnato molto su come vendere, girare il mondo inventando modi per sopravvivere e come non bisogna mai darsi per vinti.
Ma andiamo con ordine.
Dopo Cochabamba ci siamo diretti a La Paz, la capitale della Bolivia, città a circa 3.600 metri di altitudine, che raggiunge i 3.800 a El Alto, quartiere che si può raggiungere in funivia e dal quale si vedono le cime delle montagne innevate. Una città grande e con il suo fascino, tra il mercato de Los Brucos, dove si possono trovare filtri d’amore, feti di lama e polveri per riti esoterici, strumenti musicali andini e tanto artigianato, la plaza San Francisco, dove nel pomeriggio possono ammirare spettacoli di teatro si strada o a volte ascoltare strani predicatori che sostengono che i peggiori vizi dell’umanità sono l’anarchismo e la musica metal (scatenando la nostra ilarità e quella dei nostri compagni di viaggio). Continue reading
L’inizio dell’avventura cilena
Il viaggio intensifica il tempo. In fretta cambiano i paesaggi, il clima, i tratti somatici delle persone che ti circondano, le loro abitudini, il loro modo di parlare… E tu come una spugna assorbi tutto, cerchi di adattarti e di imparare il più possibile.
Siamo in Cile ormai da due settimane, ma ci sembra almeno un mese.
Prima di partire, non c’era molto entusiasmo per questa tappa. In parte perchè l’unico commento che gli argentini ci facevano quando comunicavamo che lì eravamo diretti era sul terribile freddo ‘eh sì perchè c’è il Pacifico, non sono mica protetti dalle montagne, loro!’. Come se non bastasse, durante gli ultimi giorni a Neuquen non si parlava d’altro che di una fantomatica onda di freddo polare che avrebbe colpito il Cile. Per il resto, pensavamo che non avremmo trovato nulla di particolarmente diverso dall’Argentina. L’avremmo fatto in frettissima, se non fosse che avevamo trovato un progetto di biocostruzioni che ci ispirava molto e perchè avevamo dei contatti interessanti a Tirua e a Concepcion.
La prima differenza con l’Argentina la incontriamo subito dopo aver varcato la frontiera. Sono degli strani alberi, che sembrano delle vie di mezzo tra pini e palme. Alberi di araucaria, scopriremo successivamente, che danno il nome alla regione intorno a Temuco, cuore della terra dei mapuche. Per il resto, il paesaggio rispetto all’Argentina ci sembra più toccato da un’impronta umana: case, piccoli campi, alberi…
Temuco è stato per noi luogo di passaggio, che ricorderemo per la sua rara bruttezza e come il posto dove abbiamo scoperto l’intercalare tipico del Cile, lo ya, ripetuto circa ogni due parole.
Dopo una notte in un ostello molto kitsch e un giorno in un freddisismo bar a Temuco, siamo andati a Pucon, per un workaway, a costruire la casa di due inglesi, Lucy e Gego, con terra, argilla e calce. Ci siamo uniti ad una truppa di volontari da tutto il mondo con cui abbiamo condiviso fatica, cibo, vino, pisco, chiacchiere, rilassamento alle terme e un’ultima notte memorabile. La serata è iniziata con lasagne e tiramisù cucinati dai Bertan Bros, poi gioco alcolico proposto da una ragazza del Minnesota, poi uscita alla ricerca di un posto dove ballare, occupazione di un bar, cacciata dal bar a seguito della rovinosa caduta di una francese e di plurimi bicchieri da un tavolo, e ritorno all’ostello. Fine serata ballando cumbia con i reduci.
Il giorno dopo alle 10, ancora un po’ in difficoltà, abbiamo ripreso la strada. Destinazione: territorio mapuche di Temucuicui, 200mila ettari recuperati a un’impresa forestale svizzera, dove vivono circa 100 famiglie. Il nostro contatto è Jaime che incontriamo a Collipulli, dove si trova perchè lì sono detenuti alcuni mapuche, peñi, della sua comunità. Dovrebbe esserci una marcia, ma sono passati i carabinieri, los pacos, a disperdere il concentramento. Ci spostiamo a Ercilla, dove aspettiamo un passaggio per Temicucui e incontriamo il padre di un arrestato. Ci racconta che i pacos sono arrivati il giorno prima fin di fronte a casa sua e hanno investito il figlio con la camionetta, per poi arrestarlo.
Questa è la quotidianità per i mapuche della zona, ci spiega Jaime poco dopo a casa sua, mentre ci fa vedere foto di camionette, elicotteri, bossoli e carri armati (!) scattate con il cellulare nelle ultime settimane. Tutti sono stati arrestati qui, chi per qualche giorno, chi per qualche anno. Ci parla dei processi per terrorismo e dei testimoni protetti, spesso pagati dalle imprese in conflitto con i mapuche. La loro identità è protetta e spesso accusano i mapuche di cose assurde. Ce n’è uno che è accusato di aver appiccato 4 incendi in 4 posti a ore di distanza in una sola notte. E il testimone avrebbe assistito a tutti gli incendi. Ci racconta di questa lotta mentre siamo nella piccola casa che ha costruito per la sua famiglia un anno prima, che sembra stare in mezzo ad un mare di stelle.
Ci fermeremo una notte e un giorno con loro, cucinando porotos con tallarines (pasta e fagioli, fondamentalmente) con Griselda, aiutando gli uomini a costruire lo steccato intorno al territorio dove presto sorgerà la casa della famiglia del fratello di Jaime e imparando parole in mapudungun con i suoi figli.
Ripartiamo commossi dalla forza e dall’ospitalità di queste persone, che in definitiva vogliono solo poter vivere della loro terra. Pucon ci sembra già un lontano ricordo. Si torna a Temuco, in una pensione per riprendere le forze e dove, invece, prenderemo le pulci. Sì le pulci. Sembra. Pare che in Cile siano un must. Pensavamo fosse stata una cosa di una notte tra noi e loro, ma visto che il prurito non passa, credo che faremo un giro in farmacia per capire come liberarcene, nel caso in cui abbiano deciso di unirsi al nostro viaggio…
Dopo Temuco, Tirua, villaggio di pescatori e mapuche sul Pacifico. Il nostro contatto è Carlos, un gesuita. Che vive in una comunità mapuche dove c’è una cooperativa. Di nuovo, basse aspettative e pure qualche pregiudizio: ‘avranno mica indottrinato i mapuche, ‘sti gesuiti?’ Ancora una volta, ci dobbiamo ricredere.
Carlos ci accoglie raccontandoci della storia dei gesuiti a Tirua, che arrivano con sincero interesse nei confronti del popolo mapuche, con cui collaborano ma stando alle loro regole e senza pretese di proselitismo. Tant`è che il gesuita che era a Tirua prima di Carlos si è spretato per vivere a pieno la lotta mapuche ed è appena stato arrestato. Con questo spirito nasce 10 anni fa l’associazione indigena Relmu Witral, in cui 120 socie hanno ripreso la tradizionale tessitura a telaio, con lana locale, tecniche di tintura e motivi tradizionali. Andiamo anche a casa di una di loro, Roxana, che mi fa provare a tessere. E già m’immagino, con un piccolo telaio nella mia fricchettonissima casa immaginaria, al ritorno a Torino… Ma tornando alla realtà, le socie ogni mese vendono i manufatti all’associazione, che li commercializza. Un progetto figherrimo.
Per quanto riguarda il lato ospitalità, a questo pensa Veronica, che gestisce una trattoria/pensione, a la suerte de la olla, dove passiamo due notti e dove veniamo coccolati e nutriti di delizie, come se non ci fosse un domani. Il figlio della Vero, Robinson, DJ comunista, sarà compagno di
passeggiate, chiacchiere, bevute e di maratone notturne di Dragon Ball. Ci insegnerà anche qualche cilensimo, ce ne ricordiamo solo uno, weòn che significa amico, ma anche cretino, a seconda del contesto. Dopo aver cucinato empanadas de carne con Veronica e partecipato al matinal di Radio Dulce Mar, partiamo anche da Tirua, ancora una volta toccati dall’ospitalità locale.
Quattro ore di bus ci separano da Concepcion, dove ci accoglie il diluvio universale. Con qualche difficoltà e bagnati fradici raggiungiamo Oscar, il nostro ospite, che lavora in un’università per lavoratori. Anche qui c’entrano i gesuiti… Con Oscar ci si apre un mondo di nuovi cilenismi: il ¿cachai? che vuol dire tipo ‘capito?’, anche lui ripetutissimo e il pu come finale. Si diventa sipu e no diventa nopu. Passiamo tre giorni con lui e con la sua famiglia, che ancora una volta si fa carico di questi due italiani in trasferta nutrendoci, accompagnandoci in giro e raccontandoci. A Conce scopriamo la cueca, che Oscar suona e balla, insieme ad un simpatico gruppo di amici, con cui passiamo un movimentato giovedì notte. Rimaniamo affascinati da Boca Sur, dove vive Oscar, quartiere che pare che sia uno dei più pericolosi del Cile, dove sono nati movimenti per la sanità pubblica, lo smaltimento dei rifiuti e contro la privatizzazione della strada, ci racconta Roxana. Il Compagno Vera, marxista, invece ci racconterà del sindacato dei lavoratori disoccupati, nato anche lui in queste strade e diventato nazionale, che nel 2004 ha ottenuto che il governo cancellasse il debito per le case popolari di coloro che non erano riusciti a saldarlo.
Molte di queste lotte sono collegate con il Partido de Los Trabajadores, di cui Oscar fa parte. Si tratta di un partito che in realtà è un movimento rivoluzionario, che non partecipa alle elezioni, ma per ora si prepara e lotta da fuori. Perchè il cambiamento che vogliono non può che passare per una rivoluzione. Nonostante una chiara impronta di sinistra nelle proprie rivendicazioni, non si definiscono nè di destra nè di sinistra, comprensibilimente, visto che la ‘sinistra’ che governa il paese è più neoliberista di Pinochet. È tutto così strano e così sensato. Ovviamente non ci facciamo mancare una visita ad una radio comunitaria. Radio Espontanea de la Costa, di cui ci parla la scoppiettante Maria, mapuche anche lei. Ci dicono che di recente hanno incontrato un giornalista uruguayano, esperto di movimenti. E scopriamo quindi di avere un amico in comune!
Ora siamo a Santiago, per un altro workaway, nella casa di Penelope, che è anche un collettivo di teatro sociale e di permacultura, dove passeremo una settimana aiutando nell’orto, riprendendo le forze, riordinando le idee, organizzando le prossime tappe e scrivendo…
Parentesi freddo: non fa certo caldo, ma non più freddo che a Neuquen o a Esquel… La differenza principale è che in Cile non c’è gas, quindi si riscaldano meno le case rispetto all’Argentina e in alcuni casi non c’è acqua calda. Questo bisogno di nord, che dovrebbe significare fine dell’inverno ci ha portati ad un altro cambio di itinerario: dopo Santiago, Valparaiso, deserto di Atacama e poi… Bolivia!!!
E poi si vedrà…
Buenos Aires – Puerto Madryn, che il viaggio abbia inizio
Apriamo gli occhi a casa di Marco, il couchsurfer trapezista. È Pasqua, abbiamo un appuntamento su Skype con i parenti e poi dobbiamo andare a Retiro, dove ci aspetta il bus che in venti ore ci porterà a Puerto Madryn.
Dallo schermo ci salutano immagini sfuocate che ci dicono che ci seguono e ci chiedono dove andremo. Parliamo, salutiamo, raccogliamo le nostre cose. Constatiamo ancora una volta che abbiamo troppi bagagli, allora ne eliminiamo uno, una borsa piena di cose inutili e di viveri. Li doniamo al nostro ospite, che ci accompagna alla fermata del collectivo. Il primo non riusciamo a prenderlo, non siamo abbastanza lesti. Il secondo sì e il viaggio è meno terribile del previsto, considerando che ci muoviamo con uno zaino enorme sulle spalle, uno zaino medio davanti e una borsa a testa.
Arriviamo a Retiro in una mezzora. Quasi due ore ci separano dalla partenza. Che io spendo in parte girando, procacciando cibo economico e acqua. Il resto è noia e ansia perché il nostro bus non compare, nè fisicamente, nè sul tabellone delle partenze. Poi ovviamente, arriva, in ritardo, ma neanche tanto. Continue reading