Prima porta. Il sole brucia la nostra pelle, la sabbia scotta sotto i nostri piedi martoriati dalle pietre e dalle spine di cactus, mentre il diavolo ci incita a non fermarci e continuare a danzare. “cosa siete venuti a fare qui??”. Abbiamo già bevuto il primo bicchiere di San Pedro. Qualcuno ha già vomitato. Gli uomini e le donne ballano, s’incrociano, vanno ai quattro lati del cerchio a prendere l’energia della Pachamama. Noi, in mezzo a loro, provati, ma si continua ad andare avanti. I tamburi scandiscono il ritmo della danza.
El camino de la colebra ya no tiene paso atras, adelante, adelante hay que andar.
Verso la fine il dolore comincia a diventare relativo. L’abbiamo superato. Dopo un tempo incalcolabile la musica smette e crolliamo al suolo. La donna che guida il nostro gruppo piange sorridendo, l’abbraccio, piango un po’ anch’io, è un pianto liberatorio, della fatica di essere donna. Il ballo ha reso bene l’idea, si cammina, si va avanti e si deve essere belle allo stesso tempo. E mentre lo facciamo non riusciamo ad evitare di prenderci sempre cura di qualcuno. Di dare amore e vita. Sono tante cose tutte insieme. La leader delle donne mi racconta anche che la figura del diavolo per loro non è negativa, ma è vista come una parte del tutto, con un ruolo molto importante. Il termine diavolo è un frutto del sincretismo, nella tradizione precolombiana si parlava di Haya, che incarna la forza e il potere tanto positivo come negativo della natura, che ha un ruolo di guida e consigliere per la comunità. Continue reading