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La mia Guru

In questo bellissimo turbine che è diventato la vita della Nave, spesso torna la parola Guru. Il che mi ha portato a riflettere su chi siano i miei Guru, ovvero i miei modelli ispiratori.

La risposta è stata sorprendente.

In giro per il mondo, ho avuto la fortuna di incontrare una miriade di persone, che per un motivo o per l’altro mi hanno ispirato, ma a volte c’era un distacco tra parola e azione che mi faceva pensare che qualcosa, nel mio modo di vivere, avrei voluto fare diversamente.  Anche perché i miei amici Tolteca in questo senso non lasciano spazio al dubbio: ‘Sii impeccabile con le tue parole!’. Non si può predicare bene e razzolare male, se si vuole che i pignolini come me ti prendano sul serio. Soprattutto se ti comporti male con gli altri.

Il mio Guru, anzi, la mia Guru, l’avevo incontrata molti anni prima, proprio qui, a Verrua. Ha sempre suscitato una grande ammirazione in me. Non stava mai ferma, a casa sua c’era sempre da mangiare, da bere, da correre nei prati, movimento, energia. Io all’epoca ero una ragazzina di città appena sbarcata in campagna, stavo molto bene di fronte ad un libro, anche nel cortile delle case FIAT dov’ero cresciuta, ma c’erano tante cose che non sapevo e avevo paura di fare, soprattutto nei posti e con le persone nuove. Avevo paura addirittura di prendere qualcosa per qualcuno in una stanza in cui non ero mai entrata… Mi capitava di non saper neanche accettare un panino se avevo fame, perché la mia nonna diceva sempre che bisognava dire di no. E la mia Guru allora mi diceva, ‘OK, se non hai fame non importa!’. Io allora mi torturavo, fino a quando non ammettevo che forse, sì in effetti avevo un po’ di fame… Una volta ricordo che ho aspettato troppo e tutti avevano già mangiato tutto. Da quella volta ho deciso che quella regola lì non mi avrebbe portato a nulla di buono.

Questa mamma, così attiva, che non te la mandava a dire e ti spronava a migliorarti, sinceramente, mi incuteva anche un po’ di timore. Non capivo come facesse a tirar fuori tutta quell’energia. E poi sgridava forte i suoi figli quando dicevano parolacce e a volte mi scappavano anche a me e temevo lo stesso trattamento, che in realtà non arrivava quasi mai.

La mia Guru è la mamma della mia prima e migliore amica, a Verrua. Lei e la sua famiglia mi hanno salvata, io di città che non andavo all’oratorio e non avevo neanche la televisione perché era caduto un fulmine e mamma e papà non avevano cambiato l’antenna, non parlavo molto quando mi sentivo a disagio. E con gli altri miei coetanei mi sentivo spesso a disagio. Invece da Chiara si stava bene e ci divertivamo un casino!

C’era stato un periodo,  che in pratica vivevo a casa di Chiara, mangiavo a pranzo da lei due volte alla settimana mentre i miei lavoravano, si guardava o Romeo e Giulietta di Fellini, la scena del balcone o Jesus Christ Super Star, che sapevamo a memoria. Prima di innamorarci di Leonardo Di Caprio, per noi Leo. Quando non c’era rientro stavamo sempre in giro seguendo qualche pazzo guizzo di Chiara. Io spesso avevo paura, ma il no non era previsto da quelle parti. Poi a settembre mi piaceva tantissimo quando si pestava l’uva. Era pieno di vespe, ma non facevano quasi paura. Poi a volte arrivavano i borsoni con i vestiti di persone che conosceva la mamma di Chiara, gente ricca, che le voleva bene. Questi vestiti erano così tanti che lei li redistribuiva. Anche a me!

Per lei non c’è niente di più normale.

Da vent’anni che la conosco quando arrivi casa sua, che ci sia Chiara o meno, ti offre sempre qualcosa, è impossibile andarsene a mani vuote.

Suo marito è un altro personaggio quasi divino per me. Aggiusta tutto. Costruisce tutto. Da quando sono arrivata la prima volta, la casa si è ingrandita, quello che era il fienile è diventato un corridoio pieno di stanze, per la famiglia, che man mano si allargava. In quella che era la legnaia ora ci vive Laly, la terza figlia. Chiara, quando vuole, ha la sua stanza, che però non è quella dove stava quando andavamo alle medie perchè ora è la stanza di Elisabetta, la prima nipotina. Paolo ha messo il parquet nella stanza dei miei nella quale mi trovo in questo momento, ha messo il cancello per Shira e Johnny e non so quante altre cose. Tendenzialmente quando c’è qualcosa di difficile da fare chiamiamo lui, almeno per un consulto. Si chiama Santo di primo nome e secondo i miei c’è un motivo.

A maggio, quando siamo tornati dal viaggio e abbiamo iniziato a riempire la nuova casa della Nave, la mia Guru ci ha regalato un frigo, una mensola lunga, un lumino, ci ha venduto una cucina con gas e super forno ad un prezzo ridicolo.

Ma non solo: il giorno prima della festa del Solstizio mi ha riempito di giochi per bambini, visto che erano approdata una mamma con la sua bimba di tre anni. Oltre che al telo per coprire il tepee, che era il vero motivo per cui ero andata a trovarla. Dopo aver tagliato insieme qualche metro di quella stoffa che già conoscevo perché prima stava nella legnaia e Chiara ci ha fatto i suoi primi e riuscitissimi esperimenti di cucito. Circa quindici anni dopo quei rotoli erano ancora lì e mi stavano risolvendo un problema.

Mentre srotolavamo la stoffa, io, seppur estremamente grata, non avevo ancora totalmente compreso che era il mio Guru.

E’ successo poco dopo. Quando mi detto di prendere anche un tavolino, vicino al quale c’era un cavallo a dondolo dall’aria famigliare. Mi vede bloccarmi e fissarlo e mi dice con semplicità ‘Eh già! Quello è il tuo cavallo a dondolo! Qualche anno fa eravamo dai tuoi e stava tutto rotto in un angolo, allora Paolo l’ha preso, l’ha portato a casa e l’abbiamo aggiustato, l’ultima che l’ha usato è stata Elisabetta! Portalo a casa! Tieni tutto, vah, se mi serve qualcosa, te lo chiedo!’

Io credo di aver pianto, non sapevo che il mio cavalluccio esisteva ancora, ma quando l’ho visto ho ricordato quanto mi piaceva e quasi non potevo credere che qualcuno si fosse preso cura di un pezzo tanto importante della mia infanzia. E che qualche altro bambino ci abbia potuto e ci potrà giocare.

A lungo ho pensato che le cose non fossero importanti e che quindi non fosse necessario curarsene troppo. Forse era un po’ una scusa, anche perché a volte avrei voluto, ma non riuscivo a prendermene cura, mi dimenticavo, si sporcavano, le perdevo. Odiavo prendere le cose in prestito perché temevo di non riuscire a restituirle integre. E succedeva, talvolta. Almeno però non mi dispiacevo troppo quando le mie, di cose, non ce le avevo più. Il che mi ha risparmiato tanti mal di pancia. Grazie alla mia Guru ho capito che le cose non sono fondamentali, ma che prendersene cura fa bene. A noi e agli altri. Se non fosse stato per la mia Guru che sa prendersi cura delle cose, che non solo non butta, ma che tiene bene quello che non butta, tante persone stanno un po’ meglio.

Lei e suo marito risolvono problemi con la stessa semplicità con cui respirano.

Fresca d’illuminazione le ho detto: ‘Grazie, sei il mio Guru, sul serio! E’ tutta la vita che ti ammiro e non lo sapevo neanche! Scriverò il mio prossimo articolo su di te!’, la sua risposta è stata: ‘Piantala, vah!’

Dopo un po’ abbiamo trovato un accordo, mi ha autorizzata a scrivere questo articolo, ma senza citare il suo nome. E con questo, ha confermato la mia scelta.

Prima di chiudere questo racconto, ammetto di avere altri due Guru, che non posso non citare per imparzialità.

Sono Guru della Comunicazione.

Il primo è Johnny il Cane, che tutti coloro che sono passati di qui ricordano di sicuro. E’ il cane che abbraccia. E saluta sempre tutti, quando arriva e quando se ne va (anche se quello, in effetti lo fanno lo fanno un po’ tutti i cani che conosco). Allora, da quando l’ho gurizzato, cerco di farlo anch’io, a volte mi dimentico, ma tanto lui è un Guru indulgente. Gli bastano le coccole, a quello lì.

Il mio secondo Guru della Comunicazione non lo conosco di persona, ma lo stesso mi ha ispirato moltissimo. E’ Gianni Morandi, che nella sua pagina non inventa nulla, ma pubblica foto immagini in cui se la gira, se la suona e si gode la vita, con un pizzico di autoironia. E dice quello che pensa, quando è il caso, all’ennesima strage nel Mediterraneo, in cui ha ricordato che anche noi tanti anni fa solcavamo i mari alla ricerca di un avvenire migliore. E a tutti quelli che hanno ricoperto il suo post di commenti razzisti e ignoranti ha risposto con amore, cercando di fargli venire un po’ di dubbi. Per circa quattromila volte. Quel Gianni lì mi è piaciuto, allora cerco di seguire il suo esempio. Ormai possiamo dire che alla Nave cerchiamo di fare come lui, quando qualcuno ci scrive. Chissà magari un giorno lo potremo incontrare per una chiacchiera, una mangiata e una cantatina. Magari invito pure la mia Guru, che quando c’è gente non vuole mai venire, ma per lui farebbe un’eccezione. Non so questo succederà sul serio, anche se ormai i sogni qui si realizzano in fretta, ma sono abbastanza sicura che uno così se lo incontrerò, non mi deluderà!

[la foto della copertina, dove si vede il cavalluccio che è tornato a casa, l’ha scattata un bravissimo fotografo, alla festa del Solstizio, senza sapere la storia, o forse sì. E’ un amico d’infanzia di mio fratello Marco e si chiama Carlo, trovate le sue foto qui]

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