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Il Don Chisciotte di Humahuaca

Siamo giunti a conoscere questo singolare personaggio a Humahuaca, cuore dell’omonima quebrada, nella regione di Jujuy, a nord dell’Argentina, dove abbiamo visto paesaggi spettacolari, con canyon, montagne colorate e costellate da cactus. Humahuaca è un villaggio che vive principalmente di artigianato, dove abbiamo cominciato a respirare un’aria genuinamente latinoamericana, vista l’altissima percentuale di popolazione india e la scarsità di comodità come il wifi, che è andata ad aumentare con l’arrivo in Bolivia.

Siamo arrivati di notte, accolti da un freddo glaciale (siamo oltre i 2000 metri ed è inverno anche se di giorno fa caldissimo), aspettando l’alba in un terminal per finire in un primo Hostal gestito da una signora simpatica quanto la strega di Hansel e Gretel. Ci siamo spostati appena possibile in un altro ostello, dove abbiamo passato una notte e dove abbiamo conosciuto Celeste, un’intraprendente ragazza argentina di 21 anni che sta viaggiando da quattro mesi facendo artigianato e giocoleria.

È stata Celeste a parlarci di questo Castello del Vento, comune fondata da Raul Prchal, un vecchio anarchico decisamente fuori dal comune, dove si poteva stare gratis. Non abbiamo dormito lì perché nel frattempo, il gentilissimo Rodrigo (la vera ragione per cui eravamo ad Humahaca) un avvocato che lavora con gli indigeni della zona e di cui parleremo, ci ha offerto ospitalità. Siamo però andati a fare due chiacchiere con il fondatore del castello.

Hauyra Huasi, ovvero il Castello del Vento, sorge nella parte alta di Humahuaca. La costruzione è di fango e terra con dipinti, scritte e testimonianze di coloro che sono passati per questa comunità transitoria. Quando siamo entrati Raul non c’era. La realidad no existe ci dicevano i muri della cucina, in cui c’erano due uomini in evidente stato di ebbrezza e un’inquietante signora che però ci ha promesso di andarlo a chiamare. Poco dopo si è presentato alla porta della cucina un uomo sulla settantina, con un cappello e una lunga barba bianca, un fisico provato dall’età, ma due occhi brillanti e lucidi. Dopo un momento di bagarre con i due, che lui ha invitato ad andarsene, ma che non sembravano dell’idea, con noi che non sapevamo bene dove guardare e che fare, si è seduto con noi a parlare. Ha tirato fuori un quaderno che raccoglie articoli che parlano di lui e ci ha mostrato i suoi libri, che stampa personalmente.

La storia di Raul è la storia di un uomo che ha passato la vita a cercare modi per uscire da un sistema di cui non condivide le regole e la logica consumistica e che ha cominciato a farlo negli anni ’60 quando un’orizzonte diverso sembrava possibile. Questa ricerca è passata dall’incontro, all’età di ventun’anni, con Lanza del Vasto, discepolo di Gandhi con cui ha fondato una comunità in Argentina: la comunità dell’Arca. Comunità religiosa, quasi monastica, dove i ritmi erano scanditi da campane per la preghiera, il lavoro, i pasti, la meditazione. L’esperienza fallisce principalmente per ragioni personali, ma il progetto riprende in Francia, in una comunità dove vivevano un centinaio di persone. Qui Raul e della sua compagna in questa criticano le rigide regole, per questo erano stati soprannominati Guanachi, lama selvatici, ma vivono allo stesso tempo in un costante tentativo di accettazione, che non sarà mai completa.

Decidono di tornare in Argentina, passando per la Spagna e per il Marocco. I motivi del ritorno sono la riflessione sul fatto che mentre il’Argentina sta vivendo uno dei momenti più drammatici della sua storia con la dittatura, loro sono ‘ a giocare a fare i contadini’ in Europa, inoltre Raul è affascinato dalla cultura campesina del Nord-Est Argentino, dal quale vorrebbe imparare tradizioni e stili di vita. In Spagna, scopre l’anarchismo e si scopre anarchico. Nel 1974 si installa ad Humahuaca, dove inizia fonda Hura Huasi, comunità transitoria, perché il gruppo di partenza si disgrega, ma lui rimane, accogliendo chi vuole unirsi per il tempo che desidera, contribuendo alle spese.

Nell’1987 scrive il suo primo romanzo, Il francotiratore, che racconta la storia di due amici, con la stessa visione critica, uno dei quali diventa un medico popolare, si sposa e si imborghesisce e da anziano entra in una fase di crisi in cui non riesce a smettere di evocare la sua gioventù ribelle e a chiedersi che ne è ora di tutti questi sogni di cambiamento che avevano segnato un’intera generazione, l’amico non abbandona uno stile di vita fatto di continua ricerca, continui cambiamenti e molti fallimenti.

Un romanzo lucido e malinconico. Come Raul, che ha deciso di rimanere coerente, anche se sa che non sarà lui a cambiarlo, il mondo. Lo stesso non si piega alle sue regole e cerca di collaborare il meno possibile. Per questo da oltre vent’anni ha rinunciato a gas ed elettricità, si cucina e ci si scalda con il camino nel Castello de Adobe. Vive di ciò che gli frutta la vendita dei suoi libri (a prezzi popolarissimi) e di ciò che apporta chi si ferma nel Castello, dove sono passati molti musicisti, poeti, viaggiatori e sognatori.

Ci dice che la sua vita è stata costellata di fallimenti, che vivere in comunità non è facile, non è facile creare regole condivise, che tutti siano responsabili allo stesso modo, ma che non tornerebbe indietro. Di come siamo schiavi di cose di cui non abbiamo bisogno e di come essere lontani dalla comodità e dalle distrazioni obblighi le persone a sedersi, guardarsi negli occhi e parlare.

Questa la storia di questo Don Chisciotte, che ci ha dato molto da pensare, se ha incuriosito anche voi, qui c’è il sito della comunità…

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